Il coraggio da ritrovare

I

Il Censis propone l’immagine del “letargo esistenziale collettivo”, che, a pensarci su, non sarebbe nemmeno il peggio del peggio, se non altro perché  dal letargo ci si risveglia appena passata la stagione raggelante.

Si poteva temere una immagine più distruttiva, di fronte ad indicatori come quelli di politica e società ancora fuori sincrono, con differenze non lievi tra la sfiducia degli italiani verso i partiti e la medesima sfiducia misurata nell’intera Europa (il Censis ci dice che in Europa la fiducia nell’operato delle autorità regionali e locali è al 47% mentre nel nostro Paese si ferma al 22. Su dati analoghi si muove il prezioso volume di Carlo Carboni, “l’implosione delle elite” (Rubbettino) nelle librerie da pochi giorni, che nella parte dedicata alle élite italiane, nazionali e locali parla di un clima italiano segnato dall’indifferenza sociale, e del rischio concreto che il ruolo del cittadino sia ridotto al solo atto responsabile del voto.

Prendendo per buone queste analisi (Carboni é anche autorevole collaboratore di questo giornale, e data la “nota dell’autore” che apre il suo libro con un significativo Monte Conero, giugno 2014, non sarebbe una forzatura immaginare che la sua ricerca abbia a che fare direttamente con le vicende del territorio centro adriatico) si può tentare di immaginare un percorso in grado di sbloccare la situazione, svegliandoci dal letargo esistenziale collettivo.

Sarà pure vero che “il mondo della rappresentanza sociale, la dialettica sociopolitica e il potere statuale sono tre chiamate in causa cui è difficile dare seguito perché sono tre realtà in crisi. Ma il risveglio dal letargo esistenziale dovrà pure prendere le mosse da qualcosa che assomigli a politiche di risveglio e di ripresa della crescita messe in campo da quei tre aspetti del degrado attuale.

Sicché a mio modo di vedere la rappresentanza sociale che nelle Marche non è del tutto scomparsa, anche “a sinistra”, e l’innovazione amministrativa di sistema che è stata promessa in campagna elettorale da Ceriscioli e compagni, anch’essa in buona sostanza “di sinistra” (oltre che di centro – sinistra) possono e devono essere le rampe di lancio di una nuova fase di sviluppo reale che non può non seguire alle follie dell’austerità (forse necessarie, ma sempre in qualche modo “folli”) e alla stretta dei sacrifici e del predominio delle banche dell’oltre Reno.

Nelle Marche esistono tesori non ancora pienamente valorizzati. Mi riferisco al sistema dei parchi e delle riserve naturali che non sono mai rientrati davvero in un grande progetto di rinascita culturale, sociale ed economica, nonostante la felice partenza di parecchi anni fa, quando attorno alla manifestazione “Parco produce” riuscimmo ad attirare nel capoluogo delle Marche il fior fiore degli amministratori e degli operatori che si occupavano di parchi, dando vita a confronti di assoluto livello nazionale e ad opportunità economiche che non si riuscì a sfruttare pienamente.

Oggi che ci si interroga su progetti da far gestire ad una nuova leva di protagonisti dello sviluppo dei nostri territori, e a giusta ragione si disegnano trame e percorsi di nuovi distretti della cultura (dei quali molto ragionammo tra il 1990 e il 1991 nelle more dei convegni di Artimino assieme a Giacomo Becattini, a Sebastiano Brusco, a Carlo Trigiglia e ad altri ancora immaginando un ruolo degli enti locali (Provincia compresa) oggi superato dai Gog e Magog del populismo dilagante, a me pare ovvio rimescolare la giusta intuizione dei distretti culturali evoluti assieme a quanto potrebbe aggiungere (di “valore aggiunto”, per l’appunto) una progettazione e uno stimolo su scala regionale a fare dei parchi e delle riserve naturali segmenti pregiati dell’azione economica di quei tali distretti evoluti.

Non credo sia necessario precisare per l’ennesima volta che questa ipotesi di lavoro non trasforma i parchi in supermercati, e non mette da parte quanto va fatto per la ripresa della manifattura, dell’artigianato e dell’agricoltura. Già il comparto del turismo dimostra in che misura l’utilizzo dei parchi come valore aggiunto abbia fatto del bene a chi opera nel turismo.

Ma lo spazio per politiche integrate di sviluppo economico è immenso, se solo si avesse il coraggio di rispolverare vecchi studi prodotti anche dalle università nel quadro dei piani pluriennali economici e sociali che l’articolo 14 della legge istitutiva dei parchi (394 / 1991) prevedeva che ciascuna comunità del parco approvasse “entro un anno dalla sua costituzione”.

Quella prescrizione di legge quasi ovunque venne disattesa. Ma non nel parco del Conero, che affidò alla facoltà di economia “Giorgio Fuà” il compito di venire a capo della questione predisponendo una serie di iniziative immediatamente cantierabili, che non riuscirono a diventare realtà per molte ragioni, la primissima delle quali fu la non volontà del sistema degli enti locali e della Regione di finanziarli adeguatamente.

Oggi, per ragioni completamente nuove, torna attuale l’ipotesi dei piani pluriennali economici e sociali. Se qualcuno ci mettesse le mani, nella Regione del rinnovamento e del coraggio amministrativo, magari si potrebbe uscire prima e meglio dal letargo esistenziale collettivo denunciato dal Censis e dall’implosione delle elite studiata e documentata da Carlo Carboni.

Mariano Guzzini

(pubblicato domenica 6 dicembre su Corriere adriatico di Ancona, in prima pagina)

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