Il Verde Ritrovato. In ricordo di Luigi Rivalta.

I
Dr. Ippolito Ostellino
Intervento a Palazzo Lascaris – Consiglio regionale del Piemonte – Torino
20 marzo 2015 
 

Fra i molteplici spunti sui quali la figura di Luigi Rivalta permette di riflettere, quello della sua innovazione sul rapporto fra le categorie “Natura” e “Territorio”, è quello che mi preme di più sottolineare. Non quindi tanto ricordare il tema del suo ruolo, fondamentale, della nascita dell’istituto del Parco naturale nell’esperienza delle Regioni – strettamente connesso ai temi della pianificazione territoriale – ma richiamare come la sua azione per la nascita della politica dei parchi non fu altro che l’inseminazione nella “cultura del territorio” del valore della categoria della Natura, dei principi dello sviluppo sostenibile, che nel 1982 divengono con la Conferenza di Rio un principio mondiale.

Luigi Rivalta il 30 aprile del 1975, ultimo giorno della prima legislatura della Regione Piemonte, porta in approvazione la legge n. 43 del 4 giugno 1975, che venne poi pubblicata il 10 giugno sul Bollettino Ufficiale. 13 articoli, pochi, che costituiscono tuttavia una novità enorme per la tutela, che vengono quasi strappati al dibattito politico del tempo (tanto da essere una legge votata per ultima nei lavori dell’aula nella prima legislatura) e che facevano parte in realtà di una manovra più generale e integrata che infatti vede, nella seconda successiva legislatura nel 1977, l’approvazione della legge sulla gestione del suolo, la n. 56, che porta in Piemonte il concetto della regolazione e pianificazione.

Lo stesso stato Italiano nel 1991 non riesce a fare una operazione di questo tipo, dove il concetto di tutela e sviluppo coerente del territorio infondi tutto l’approccio di gestione del suolo: infatti dopo la legge n. 394 del dicembre di quell’anno che sancisce i principi generali per le Aree protette in Italia infatti, ancora oggi non è stata approvata una nuova normativa urbanistica nazionale che è ancora ferma alla legge n.1150 del 1942. In Piemonte dopo la gestione dei luoghi di particolare significato ambientale si passa quindi alla visione del territorio nel suo insieme, seguendo un processo che ha il senso di una ”Politica” per il territorio. Manca solo all’appello il tema degli strumenti per la gestione della categoria del paesaggio, che deve attendere gli anni 80 con la legge Galasso del 1985 e poi con la firma della Convenzione Europea del Paesaggio nel 1990, per farsi strada nelle politiche e nelle normative italiane, fino a giungere al Codice del Paesaggio, ma che oggi non vede ancora un Piano paesaggistico nuovo approvato.

Nel 1975 non esisteva, dunque, una legge nazionale sui parchi. Non esisteva una legge del Piemonte sulla gestione del suolo. La legislazione sul Paesaggio era ferma al 1939. Non esisteva una legge moderna sulla tutela del suolo, ma solo una sul vincolo idrogeologico, sempre del lontano 1923. In questa assenza di riferimenti generali l’iniziativa di Rivalta assume quindi, è evidente, un significato di modernità e originalità speciale. Il valore della Natura non era ritenuto infatti un fattore significativo, ed anzi: “Sul territorio aveva mano libera la speculazione; ogni processo di espansione avveniva sulla base degli interessi dei singoli, in modo disorganico e spontaneo senza tenere in alcun conto i valori presenti sul suolo, senza che le risorse ambientali e naturalistiche fossero prese in considerazione e salvaguardate.” Intervista a Luigi Rivalta di Mario Fazio in “Il Verde ritrovato” (ed. Stampatori 1980)

Da allora si sono fatti molti passi in avanti, quantitativi, e tuttavia non si è ancora però affermato in modo sostanziale e definitivo il ruolo del tema ambientale nelle politiche di sistema del territorio: qualitativamente non possiamo affermare di aver davvero voltato pagina.

Pur avendo seminato questa pianta, e questo resta il valore assoluto della stagione politica nella quale Rivalta porta il suo contributo, oggi il tema ambientale rischia anch’esso di fare passi indietro appeno non lo si presidi. La stessa politica dei parchi di oggi segna carenze e mancanze: il Piemonte non è dotato ancora di quello strumento di visione complessiva rappresentato dalla Carta della Natura che la legge del 2009 sancisce come strumento per il coordinamento e connessione fra tutela della biodiversità e territorio regionale. Non esistono politiche consolidate in rete di integrazione fra tutela naturalistica e gestione dell’agricoltura, fra parchi e fruizione dei cittadini, fra turismo verde e aree protette ed anche e financo fra sistema delle politiche della salute e parchi. E ancora la stagione della pianificazione strategica e dei piani socioeconomici non è mai partita, mettendo in relazione i territori protetti con i loro contesti e con le politiche di sviluppo locale dei territori interessati dai parchi. Esistono casi ed esempi che si affacciano, ma non sono ancora patrimonio e valori consolidati. Anche sul fronte della pianificazione territoriale non si sono fatti passi avanti ed anzi, un passo indietro preoccupante è stato fatto sul tema del più grande sistema pianificatorio rappresentato del Po, che con la legge del 2009 perde, per un intricato insieme di ragioni, lo strumento unitario rappresentato dal Piano d’Area della Fascia fluviale del Po, e ad oggi non è dato sapere se e mai riusciremo a recuperare questo gap.

Quale elemento in particolare è allora ancora mancante? E’ un elemento o forse è un sistema di elementi? Forse è un problema di tipo culturale?

Credo che manchi ancora quella rivoluzione culturale complessiva che dovrebbe farci vedere come tutti gli elementi che sono interessati da un progetto di “qualità di vita”, per essere considerati e compresi fino in fondo, devono essere trattati da una visione olistica e circolare dei meccanismi che regolano la vita della società umana sul pianeta. Esiste quindi forse un problema di approccio: ed è proprio dalla comprensione completa dei contenuti culturali che la “questione ambientale” ci suggerisce e consiglia che dovremmo ripartire.

Dovrebbe farci infatti riflettere il pensiero che proprio le regole che stanno alla base del funzionamento dei fenomeni naturali, sono quelle che raramente vengono applicate: regole che rinviano ai principi della connessione fra le parti, del dialogo fra i soggetti e gli oggetti coinvolti in un habitat, dello scambio osmotico fra componenti, della cooperazione simbiotica per mantenere un sistema in equilibrio, come il principio della resilienza richiama, della collaborazione fra il Micro e il Macro, dell’adattamento continuo ai cambiamenti indotti dalle variazioni esterne di un contesto.

Ancora oggi è difficile infatti vedere ad esempio la cooperazione fra diversi settori con le politiche ambientali. I principi di approccio a rete, di visione sistemica fra le componenti di un territorio, fra territorio ed economia, fra territorio e cultura, fra ambiente e visioni psicosociali, non sono parte dell’approccio quotidiano ai temi.

Eppure innumerevoli riflessioni di pensiero si sono susseguite dagli anni ’60 ad oggi e molti contributi sono giunti sulla questione dell’approccio integrato, dell’effetto che l’ingresso del paradigma “ambientale” nella cultura determina, imponendo la necessità di una nuova visione dei problemi del progetto e dello sviluppo, portando l’attenzione al significato dei sistemi complessi. Molte riflessioni portano a stabilire l’urgenza di un “Cambiamento di paradigma”, nel senso di Thomas Kuhn, categoria che nel 1962 lo storico del pensiero scientifico conia nel suo “La struttura delle rivoluzioni scientifiche.”

Forse il primo cenno è utile farlo richiamando Fritjof Capra, il fisico e saggista austriaco, teorico della visione sistemica, che prima con il suo Tao della Fisica del 1975 e poi con la Rete della Vita, propone in senso teorico e complessivo la necessità di applicare una visione diversa alla conoscenza e interpretazione dei meccanismi che regolano la nostra presenza sul pianeta. Per Capra esiste un profondo legame tra la crisi ambientale del nostro tempo e la cultura anti-ecologica occidentale affermatasi negli ultimi secoli, ritenendo necessario l’avvento di un nuovo paradigma, ricavabile dagli sviluppi della “nuova fisica” (e di altri settori della scienza contemporanea), ma anche dal misticismo orientale (il Taoismo in primo luogo): elaborare un nuovo pensiero, caratterizzato in senso olistico e sistemico che privilegia il sistema, la rete complessa costituita dalle molteplici interrelazioni, e non le singole unità costitutive (come voleva l’approccio analitico di stampo cartesiano) e predilige la “rete della Vita” e le interconnessioni cosmiche, collocando l’Essere umano come parte della Natura (e non in contrapposizione ad essa).

Ma sono concetti che ritroviamo richiamati in un testo sulla gestione degli sviluppi dei territori di Claudio Cipollini “La mano complessa”, che guarda caso richiama proprio a rinnovare l’approccio partendo di nuovo dalle teorie di un fisico, premio Nobel nel 1977, Philipp Warren Anderson che con il suo articolo “More is different” fonda il concetto secondo il quale l’intero non è la somma delle parti, e su come si generino comportamenti nuovi dalla somma delle singole parti di un sistema complesso.

Proprio Cippolini afferma che per qualsiasi intervento sul territorio: “ non bastano più l’ingegnere, l’architetto, l’economista, il comunicatore, l’ecologo – presi singolarmente – ma è necessario riqualificare l’organizzazione e i processi, coinvolgendo equipe multidisciplinari e spesso anche multiculturali, che lavorino in forma integrata.” Sempre Cippolini cita Jeremy Rifkin, l’economista statunitense, che con il suo saggio La civiltà dell’empatia, sostenendo che siamo giunti in una nuova era tutta da scoprire dove tutto ruota intorno alle relazioni umane, ovvero intorno ai principi di scambio come per le leggi naturali, e non più alle idee “moderne” della proprietà.

Diversi contributi ci portano quindi a usare nuovi concetti che Renzo Fabris, il teorico del marketing e della nuova categoria del Societing, con grande perizia raccoglie nella sua tabella di confronto fra le categorie che si sostituiscono nel passaggio da un approccio tradizionale e una nuova visione, fra modernità e postmodernità:

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Un secondo insieme di riferimenti è importante riprendere, e che sono da ricondurre a quel vasto sistema di conoscenza che fanno parte della progettazione paesistica ed ambientale che Roberto Gambino nel suo saggio Conservare e Innovare chiama la “Conversione ecologica”. Si tratta delle nuove visioni che si fanno strada con i nomi di Aldo Leopold, biologo e forestale teorico del ruolo del suolo, fino al fondamentale contributo di Ian L. McHarg che con il suo “Design with nature” del 1969 afferma l’importanza di costruire un ponte fra progetto urbano e progetto naturale, meritandosi l’appellativo da Lewis Mumford di fondatore della scuola di “urbanistica ecologica”, per il completo rinvio e uso dei concetti della compartecipazione umana e della cooperazione ecologica: principi di assoluta attualità.

Sostenere la cultura delle aree protette, che ci porta a discutere di natura e dei fondamenti della vita dell’uomo sul pianeta corrisponde quindi al coltivare la conoscenza del funzionamento della natura e della sua applicazione alla pianificazione dell’uso delle risorse in generale. Ma di qui occorre fare un passo in più: occuparsi di parchi significa occuparsi di una nuova cultura di approccio al territorio, per applicare al nostro operare i principi che sono nel DNA di quei sistemi che le aree protette tutelano: quei principi devono essere ripresi ed applicati come nuovi paradigmi nel nostro operare in una “rete eco-sociale”.

Parlando di parchi parliamo della necessità di quei nuovi paradigmi, che sono necessari per riconquistare un ruolo equilibrato della società sul pianeta, fino a riconnettere il singolo con la comunità e con la società e la sua azione trasformativa con l’ambiente in cui vive. Quella visione che sta alla base dell’approccio di Capra: “L’idea di «partecipazione invece di osservazione» è stata formulata solo recentemente nella fisica moderna, ma è un’idea ben nota a qualsiasi studioso di misticismo. La conoscenza mistica non può mai essere raggiunta solo con l’osservazione, ma unicamente mediante la totale partecipazione con tutto il proprio essere. (Il Tao della fisica, Adelphi, 1993, p.161). Proprio da questa idea lo stesso Capra fonda a Berkley il Center for Ecoliteracy che si propone di promuovere l’ecoalfabetizzazione, la cui portata e urgenza è così delineata dallo stesso Capra: “…l’ecoalfabetizzazione è una dote essenziale per i politici, gli uomini d’affari e i professionisti in tutti i campi. Di più, l’ecoalfabetizzazione sarà fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità nel suo insieme, quindi costituirà la parte più importante dell’educazione a ogni livello”.

La storia della cultura ha conosciuto un momento in cui l’uomo riposizionò il suo ruolo, quando il cambiamento di paradigma portò alla nascita della stagione culturale dell’Umanesimo. Anche oggi siamo di fronte alla necessità di saper vivere in una nuova società, che Bauman chiama liquida, e i nuovi paradigmi derivano dalla nostra capacità di avere una coscienza naturale, e dunque un approccio che ha il sapore di un nuovo Umanesimo, dove il ruolo dell’individuo è visto in connessione con la Rete della Vita.

Una idea che troviamo anche in un saggio di pochi anni fa ispirato al concetto dell’Economia della contemplazione di Claude Raffestein: “Noi oggi di fronte a un bel paesaggio vorremmo farci una casa o valorizzarlo turisticamente. Di fronte a un’opera d’arte vorremmo acquistarla o, almeno, averne a casa una riproduzione. Le stesse relazioni con le persone sono improntate all’utilità: frequentiamo chi ci è utile per la carriera. La contemplazione è invece capacità di prendere la distanza dalle cose e dalle persone, non cercare di appropriarsene ma godere dell’esistenza e della bellezza della cosa, del paesaggio, dell’altro. Essa è anche quindi capacità di guadare e riflettere sul mondo, di stabilire con l’altro – sia esso una persona, un paesaggio, un animale, un oggetto – una relazione simmetrica, non appropriativa; non tentare di renderlo subordinato a noi stessi.” E’ questa la descrizione dell’economia contemplativa, che insieme ai principi della qualità e della lentezza sono le tre parole d’ordine dello sviluppo sostenibile.

Dall’esperienza e dall’operare di Luigi Rivalta ereditiamo quindi un messaggio culturale, e non solo una esperienza amministrativa, che sta a noi coltivare e non disperdere, evitando di ridurlo ad uno “strumento” ma sapendone cogliere le sfide e il profondo carattere innovativo alle soglie del terzo millennio e nell’era definita dagli studiosi di nuova economia come l’Antropocene.

Proprio partendo dalla necessità di applicare nuovi principi e visioni in rete, la nostra Regione dovrebbe essere fra le prime ad inaugurare sistematicamente quindi una nuova politica, che non si fermi più a guadare ai nostri confini amministrativi, aprendo una nuova stagione dei parchi e delle politiche ambientali di scala europea, transfrontaliere e transregionali. Sulle prime, forse anche per la spinta data dai fondi europei, le esperienze si sono accumulate, a partire dal caso pioniere delle Api Marittime, mentre sulle seconde, paradossalmente più dirette perché da attuarsi all’interno della nostra piattaforma nazionale, le esperienze mancano. I progetti e i territori attivabili eppure sono non pochi: dal tema del sistema appenninico che coinvolge il Parco del Beigua e le Capanne di Marcarolo, al sistema dei parchi delle Alpi Liguri fra Alta Valle Pesio e Tanaro e Parchi delle Alpi Liguri, dai Parchi fluviali del Po in connessione con i sistemi Lombardi, Emiliani e Veneti, fino al sistema territoriale del Ticino o ancora alle Alpi al confine fra Piemonte e Lombardia, fra la Val Grande e il Parco Campo dei Fiori intorno al Lago Maggiore. Inaugurare un sistema di politiche interregionali forse ci renderà più forti come sistema nazionale, per meglio operare anche a scala Europea.

Grazie Gigi per il tuo lavoro e la tua esperienza che non verranno dispersi, e che anzi speriamo di rilanciare con nuove politiche di sistema territoriale come quella prima evocata, che pensino più in grande, come tu ci hai insegnato a fare.

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