La (non) politica ambientale della Regione Marche

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La Regione Marche in anni ormai lontani, grazie alla forza raggiunta per virtù propria e come segno dei tempi dal sistema regionale delle aree protette, si segnalò come sede della manifestazione nazionale “Parco produce”, come il punto d’incontro di una giornata internazionale di studi e di confronti sulla comunicazione nei parchi promossa da Fedenatur, e come il luogo di una importante iniziativa del coordinamento regionale tra i parchi e le aree protette che diede vita a importanti proposte, la più importante delle quali fu il progetto “coste italiane protette” che fu accompagnato da una intensa attività di ricerca e di pubblicazione di studi sull’argomento. E molte altre furono le opportunità offerte come servizi ai residenti ed ai visitatori. Elencate con tutti i particolari del caso sul periodico dell’ente, curato dall’ottimo e compianto Bruno Bravetti, e sul sito nazionale gestito a Forlì, dall’egualmente ottimo Massimo Piraccini, che vive e continua a lottare assieme a noi.

Senza alcun desiderio di suscitare lodi postume ed inutili riconoscimenti, ma esclusivamente a onore del vero, va scritto senza ambigue omissioni che il ceto politico che amministrò in quegli anni la Regione Marche non fu migliore di quello attuale, ma che fu costretto ad esserlo nei fatti, nelle scelte, nelle deliberazioni amministrative, grazie alla forza che le aree protette avevano conquistato nell’opinione pubblica e tra i cittadini che entravano in contatto con manifestazioni, iniziative, pubblicazioni e momenti di tutela e valorizzazione più convincenti di tanti articoli di giornali o di riviste, che pure riuscivamo a mettere in piazza.

Chi ricorda quei tempi, segnati da fattive collaborazioni con le università (la facoltà di economia “ Giorgio Fuà”: la facoltà di Agraria; quella di Scienze del mare), con le associazioni ambientaliste, ma anche con industriali e albergatori, non può credere ai propri occhi nel vedere lo scempio al quale è ridotto il sistema dei parchi marchigiano, nonostante abbia viva nella sua memoria la complessa sequenza di vittorie e di sconfitte, di passi avanti e passi indietro, che il sistema delle aree protette marchigiane registrò in quegli anni, nei quali non tutto andava liscio, e non tutti gli amministratori seguivano di buon grado il vento dell’ambientalismo.

I presidenti di regione che nelle Marche appoggiarono esplicitamente i parchi non sono nella memoria di nessuno. E perfino gli assessori al ramo veramente persuasi dell’utilità di quell’insieme di attività stanno molto larghi nelle dita di una sola mano. La verità è che tutto si giocò sul crinale scivoloso del politicamente corretto, che impose scelte in qualche caso perfino coraggiose, in quanto era impossibile farsi accusare di aperto sabotaggio del buongoverno dei parchi e delle aree protette di allora.

Oggi invece si può. Approfittando dell’incapacità dei parchi di restare in rete e di difendere con forza il loro ruolo di bilanciamento e di contrappeso se necessario anche polemico rispetto alle scelte regionali, è avvenuto un devastante sfondamento dell’avversario storico del mondo della tutela e della valorizzazione, fatto di burocrati, ragionieri e politici sordi e inadeguati.

Dopo i continui tagli ai finanziamenti, infatti, il parco del Conero, un tempo leader di ogni iniziativa promossa dal sistema delle aree protette, non è più in grado di assicurare nessun servizio ai visitatori. Con i 540.000 euro (contro gli ultimi 1.600.000 dell’ultima decurtazione: non è una sforbiciata, ma un taglio di due terzi, e nessuno protesta) il Conero non riesce a svolgere neppure le manutenzioni ordinarie (cartellonistica e segnali nei sentieri ufficialmente proposti agli escursionisti, aggiornamento delle cartine, ampliamento delle strutture didattiche), e si è dovuto privare di ben due dipendenti, trasferiti in altrettanti Comuni aderenti all’Ente.

Naturalmente non c’è più da tempo il giornale che andava in tutte le case dei residenti. Non si stampano più libri. Non si tengono più convegni.

In una fase caratterizzata dall’evidente necessità di passare da una economia prevalentemente manifatturiera o agricola ad una nuova politica basata sul turismo e sull’effetto moltiplicatore delle aree protette sullo sviluppo dei territori, l’ente parco vive di ricordi e compie esercizi acrobatici per far quadrare un bilancio del tutto inadeguato alle più elementari esigenze.

Se si considera i ritardi che deteriorano l’immagine dell’attuale Ente Regione nel cratere del terremoto, e se si fa mente locale al fatto che una località come Visso oltre che essere uno dei maggiori problemi del dopo sisma è anche la sede del parco nazionale dei monti Sibillini, e che pertanto dovrebbe e potrebbe essere il punto su cui infilare la leva del nuovo modo di svilupparsi e di riprendere a vivere, si può cogliere con quanta apprensione vivono le giornate del dopo terremoto (ricche di scandali su casette provvisorie che non hanno retto all’impatto di una invernata del tutto prevedibile, e su centri di aggregazione sociale che stentano a venire alla luce) tutti coloro che in epoche ormai dimenticate credettero di aver messo le basi di progetti di vasto respiro, quali l’appennino parco d’Europa e le Coste italiane protette.

E’ tempo di prendere atto dell’impossibilità di gestire una politica ricca di contenuti moderni e creativi in assenza di personale politico all’altezza della sfida. Se in passato la “via autarchica” dell’agiamo come se ha dato alcuni frutti, oggi i predicozzi risultano ininfluenti, e i pochissimi consiglieri regionali in grado di comprendere il valore di quello che viene tagliato assieme ai finanziamenti non hanno strumenti per opporre le loro ragioni, non esistendo alle loro spalle forze politiche solide e culturalmente preparate.

E’ su questo sfondo che si recitano le ultime comiche che squalificano sempre più tragicamente l’istituto regionale marchigiano.

E’ in gestazione una legge regionale sulle aree protette che non prevede nulla di quanto stiamo osservando, ma che pure si è bloccata tra la commissione e il consiglio per una banale e classica lotta di potere tra i Comuni che rivendicano di mantenere la maggioranza nella giunta esecutiva, spalleggiati dall’Anci, e le associazioni ambientaliste, assieme agli agricoltori e alla Regione che non condividono quella richiesta.

I giochi sono quindi fermi non perché ci sia una parte intenzionata a difendere lo sviluppo di vecchio tipo, manifatturiero ed agricolo, contro quello basato sul nuovo motore rappresentato dall’economia verde, o verde azzurra (parchi terrestri e marini), ma soltanto per brutali questioni di posti.

Ma la vera natura dell’attuale governo regionale viene allo scoperto quando si tratta di caccia. Come è noto esiste una precisa impostazione europea che  ha dato vita rete “Natura 2000”, e quindi alle Zps ed ai Sic, che in Europa possono essere considerati alla stregua di aree protette allo stato nascente. Ragionevolezza vorrebbe che in quei siti ci si comportasse esattamente come all’interno dei perimetri dei parchi regionali e nazionali. Al contrario il piano faunistico marchigiano non tiene in considerazione tale normativa.

E quando le associazioni ambientaliste hanno sottoposto la questione alla magistratura e questa ha dato loro ragione, la Regione Marche ha varato in fretta e furia una leggina (durante il periodo pre natalizio, nel quale l’attenzione e la vigilanza della gente si attenua) per ribadire che a suo modo di vedere nelle aree di “Natura 2000” presenti nelle Marche è permesso cacciare. Anzi, è indispensabile, per evitare l’invasione degli animali selvatici che premono alle porte come tremende orde barbariche.

Il VWF ha di nuovo fatto ricorso. E la magistratura ha espresso di nuovo il suo parere negativo. E la Regione Marche insiste nel dire che mezza regione è a rischio di proliferazione incontrollata di fauna selvatica e che solo la caccia può salvarla (e non i metodi già noti e praticati nei parchi più attenti a queste complesse problematiche).

La verità è che nelle Marche oramai proliferano politici incapaci di comprendere il senso delle direttive europee e la ragione dell’esistenza dei parchi nazionali e regionali, delle aree della rete “Natura 2000” e di tutta la delicatissima struttura di tutela e di conservazione della quale fa parte essenziale l’adeguato finanziamento degli enti parco, che sono oggi la più clamorosa cartina di tornasole dell’insipienza ambientalista di governanti che a chiacchiere affermano la priorità dello sviluppo della green economy, come se si trattasse di una giaculatoria o di uno slogan vuoto e a perdere.

Certo, ripensare seriamente a queste questioni (e a quel passato) viene il dubbio di far parte del nido di mitragliatrici di quella sperduta isoletta del Pacifico nella quale gli ultimi militari giapponesi, ignari di Hiroshima e Nagazaki, continuavano a battersi.

La bomba atomica che ci ha spazzati via ha vari nomi e cognomi, e soprattutto uno, anche se quello che ci tocca vedere e denunciare qui, tra il Foglia e il Tronto, non sembra ripetersi in altri parchi nazionali o regionali italiani. Si può andare in gita a visitare le sedi ed i centri visita dei vari parchi marchigiani, portando mazzi di fiori e lasciandoli lì con commozione, come quando si andava a visitare i cimiteri di guerra, nostri (a Caporetto, dove mi fermai a meditare in una lontana estate; o al Leningrado, dove mi trovai in un giorno di pioggia scrosciante, mentre i compagni sovietici continuavano a dirci “nema problema”).

Andiamo per le aree protette umiliate e offese, a visitare i resti di quello che a suo tempo ci capitò di immaginare e di costruire, convinti di stare dalla parte giusta, mentre altri erano il problema da denunciare e sconfiggere.

In Parlamento e in alcuni Consigli regionali quel nemico di allora sembrerebbe aver vinto. Eppure … come disse Sese Seko Mobutu, l’assassino di Lumumba, e il titolare del termine “cleptocrazia” rispolverato per farne omaggio a lui, che apparve il più adatto a impersonarne il senso, disse un giorno che “sia che un frutto sia maturo, o acerbo, quando si alza il vento della storia, cadrà”.

La fase della finanza piglia tutto grazie alla peggio globalizzazione sembrerebbe in via di esaurimento. E il vento della storia sembrerebbe gonfiare le vele dello sviluppo sostenibile e della economia verde azzurra.

Sarà vero perfino nelle Marche, perse nell’estremo ovest di una nazione spezzata in due dai leghisti e dai grillini? Siamo pronti a raccogliere i frutti maturi o acerbi di quella svolta. Oppure siamo pronti a stare fuori dai giochi e dalle partite fondamentali, come è giusto che sia quando il degrado supera tutti i livelli di guardia ed è il tempo dello squallore e della barbarie. L’avvenire ci dirà come si è sciolto questo dilemma.

In ogni caso la mia modesta opinione è che non possa esistere un serio lavoro amministrativo né un positivo impegno politico al servizio delle popolazioni in assenza di una adeguata preparazione culturale. Nelle Marche vive ancora il professore emerito dell’Università di Camerino Franco Pedrotti, che ha fondato e diretto un centro studi che ha formato negli anni ricercatori ed operatori nel settore della tutela della natura.

Presso i vari parchi naturali esiste un patrimonio di competenze che è cresciuto negli anni e che potrebbe essere di aiuto – in una sorta di rinnovato e ricostruito “Centro Studi Valerio Giacomini” diffuso nel territorio, e collegato con le università e con il sistema dei parchi – all’avvio di una pratica di formazione culturale permanente in grado di innervare e rinvigorire quello che oggi si sta sgangherando.

Il “Gruppo di San Rossore” sarà il naturale tramite di quanti volessero misurarsi in questa nuova avventura, agitando il volume “Uomini e parchi” come si fece qualche anno fa con il libretto rosso del presidente Mao. Si parva licet …

Mariano Guzzini

  

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