Sui parchi si sta perdendo il bandolo

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L’incontro alla Camera dei deputati sui parchi purtroppo non sembra aver prodotto il risultato in cui si sperava; una intesa politica su un percorso in grado di coinvolgere finalmente istituzioni e associazionismo in un impegno comune. Non solo è mancata questa intesa, ma le polemiche sono riprese con maggiore vigore e soprattutto con maggiore sbrindellamento. Se da un lato, infatti, tornano alla ribalta questioni vecchie come il cucco: lo Stato deve essere gestore di parchi e specialmente di aree protette marine? La norma che è stata presente fin dal primo testo ancora in discussione che toglie alle regioni qualsiasi competenza anche su piccoli tratti di costa a cosa mirerà se non estromettere da qualsiasi ruolo le regioni per riportare tutto allo stato, contrariamente da quanto prevede la legge 394 e già prima la legge sul mare? Eppure stranamente questo aspetto continua ad essere di fatto ignorato anche nei tanti documenti critici, sebbene nella nuova legge si sia proposto il passaggio del Parco di Portofino a parco nazionale dopo che anni fa gli fu negato –appunto perché parco regionale- l’affidamento dell’area protetta marina in barba alla 394.

Non meno singolare la polemica sul Corpo forestale della stato. Che il suo passaggio ai carabinieri sia una discutibilissima trovata non ci piove. Ma rivangare le polemiche dei tempi della legge quadro ha poco senso specie se si dimentica  –ne parlo a ragion veduta per avervi partecipato con  Alessandrini e il ministro Spini- che la discussione non riguardò tanto il loro affidamento ai parchi nazionali, ma il fatto che la responsabilità rimaneva al ministero e non  al parco. Così il parco di fatto non decideva alcunchè come si verificò in tante situazioni con effetti facilmente prevedibili. Che il personale dei parchi non debba e possa disporre solo di competenze  amministrative è fuori discussione ma lo è anche il fatto che esso debba dipendere dal parco senza se e senza ma.

Ho visto in una nota del WWF che si sottolinea criticamente che all’Etna sia  parco  regionale mentre al Vesuvio è nazionale.

Ma qui le ragioni sono fin troppo note. In Sicilia è stata la regione a istituire i suoi parchi in base anche alla sua specialità, tanto che ancora oggi non ce ne sono di nazionali. Altre regioni hanno fatto altrettanto precedendo lo stato come in Piemonte  nella istituzione dei parchi ovviamente regionali. Oggi, quindi, il problema non è quello di omogenizzare situazioni storicamente diversificate  ma quello di assicurare una gestione politica  in grado di far funzionare un sistema nazionale su un paino di pari dignità come prevedeva la legge 394 che è rimasta però sotto questo profilo inattuata, anzi che è stata anche normativamente modificata perché lo stato potesse fare –male- la parte del leone. Una parte che la nuova legge ripropone e rilancia come conferma anche il dibattito parlamentare. E che ad un giusto rilancio dei parchi possa giovare infilare qualche rappresentante di categoria negli enti parco è un’altra di quelle idee balorde come lo è pensare che alla gestione della fauna passa servire  affidarsi alle doppiette.

Ecco perchè l’iniziativa deve tornare alla politica e non agli emendamenti.

Renzo Moschini

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