X Convegno sulle “aree fragili” . La biodiversità nascosta – Rovigo, 20-21 marzo 2015

X

in collaborazione con le riviste Agriregionieuropa e Culture della sostenibilità

propongono

X Convegno sulle “aree fragili”

La biodiversità nascosta

Valori e pratiche della diversità biologica nelle aree fragili

Rovigo, 20-21 marzo 2015

Background del convegno

Il retroterra di questa riflessione sulla biodiversità è una comunità di pratica sulle aree fragili che si è andata consolidando attraverso una serie di convegni, che si tengono annualmente a Rovigo. Nel 2015 si arriverà alla decima edizione. La comunità di pratica si basa su due idee di fondo: una è che si debba prestare maggiore attenzione ad aree aventi una intima fragilità demografica e ambientale, siano cioè sistemi territoriali che possono tracollare improvvisamente per piccole perturbazioni interne o esterne. Resta il problema di una definizione operativa; ma per intanto si ritiene la fragilità socio-ambientale sia una connotazione che evoca un’ampia varietà di casi problematici sparsi per l’Italia. L’altra idea è che si debbano ricercare progetti e iniziative che rendono tali aree più resilienti sul piano ambientale e più “reattive” sul piano sociale. Non si tratta di indulgere in facili ottimismi, quanto di portare alla luce problemi assieme a piccole, ma significative risposte. Queste potranno essere parziali, male impostate, probabilmente poco efficaci rispetto alla grandezza dei problemi, ma l’intenzione è di fare ricerca militante, condotta non solo con dovuto rigore ma anche con una prospettiva di impegno civile.

Nelle edizioni passate del convegno si è andati alla ricerca di risorse interne ed esterne alle aree fragili che potessero essere “dolcemente” sviluppate. Si è guardato alle energie rinnovabili, alla mobilità spaziale, all’arrivo di stranieri, alle riserve d’acqua. Una risorsa ampiamente presente nelle aree fragili è la diversità biologica. Non è un caso che spesso vi sia una coincidenza fra fragilità socio-spaziale di un’area e sua destinazione a parco naturale. Già questo evoca polemiche e distinguo, accomodamenti posticci e soluzioni simboliche. La storia dei parchi naturali è sufficientemente lunga da includere molte considerazioni sulla loro efficacia nel proteggere la biodiversità, sulle loro ricadute sociali, economiche e culturali. Ma le aree protette  sono uno degli strumenti di cui valutare l’impatto e il significato. L’altro grande nodo sono le attività agro-silvo-pastorali, elemento caratterizzante le aree fragili, anche esse invocate come soluzione o per lo meno come fattore di compatibilità fra protezione della natura e sviluppo sociale di un territorio.

La diversità biologica, intesa come varietà interna ad una specie e varietà di specie e di habitat, ha notevoli problemi di misurazione interna; ma ammesso che siano risolvibili, restano da chiarire alcuni elementi della sua relazione con fattori esterni:

– se comprenda o meno la varietà culturale, relativa ad un particolare insediamento umano

– se e come debba essere accolta la biodiversità indotta marcatamente dall’uomo attraverso incroci, ibridi, bio-ingegneria, inserimenti intenzionali o accidentali di specie alloctone

– se e come la biodiversità debba essere riconosciuta pubblicamente e se ne possa ricavare un reddito privato.

Entrano cioè in campo tre fattori storici imprescindibili: 1) le generazioni umane sono intervenute ampiamente sugli ecosistemi e sulle specie animali e vegetali, creando complessi biologici per i quali è impossibile distinguere gli aspetti naturali da quelli antropologici; 2) le possibilità di intervento sulla natura si sono enormemente ampliate grazie ai mezzi tecnici, in particolare attraverso l’ibridizzazione dei semi e la bio-ingegneria; 3) la bio-prospezione, sempre grazie agli accresciuti mezzi tecnici, ha indotto una legislazione sui diritti di proprietà e uso della biodiversità secondo parametri (vedi diritto alla proprietà intellettuale della biodiversità) che non sono universalmente riconosciuti (a volte apertamente contestati).

In particolare, il piano normativo è assai intricato essendo in gioco non sono diverse filosofie del diritto ambientale, ma anche livelli di tutela stratificati (dall’individuo allo stato passando per le comunità locali; senza contare i trattati internazionali) e formule gestionali spurie; basti pensare al ruolo delle ONG, delle fondazioni di beneficienza e ad agenzie pubbliche dotate di ampia autonomia.

Questo complesso quadro storico-giuridico della biodiversità come impatta sulle aree fragili italiane? Se le individuiamo genericamente come aree rurali e montane, con una economia e una popolazione declinante, possiamo ipotizzare una biodiversità nascosta, poco nota e quindi poco “valorizzata”. Essa è poco riconosciuta per due processi complementari: uno è l’abbandono delle attività agro-silvo-pastorali da cui scaturiscono ecosistemi nuovi, poco conosciuti da persone del posto e studiosi, proprio perché scaturenti da un fenomeno nuovo che è l’abbandono di aree un tempo messe a valore; l’altro processo è lo sfruttamento intensivo per scopi specifici: possiamo immaginare che le aree fragili abbiano degli antropo-ecosistemi semplificati sia per obiettive ragioni interne (una tundra è meno ricca di biodiversità di una foresta tropicale) sia per pesanti interventi umani. Qui il pensiero corre alla desertificazione operata da certe monoculture sia agrarie che boschive. Si potrebbe obiettare che si tratta, con un gioco di parole, di una biodiversità diversa: una tundra alpina non è meno nobile di un pezzo di Amazzonia, mentre certe aree vocate alla monocultura (ad esempio, le aree del Prosecco in provincia di Treviso) hanno un proprio ecosistema assai particolare e per nulla disprezzabile sotto il profilo scientifico e culturale.

Vi è quindi un prioritario problema di definizione della biodiversità. Se sarà possibile stabilire ciò avremo già in parte risposto alla provocazione sulla “biodiversità nascosta”. In secondo luogo, si tratta di vedere se e come i processi di abbandono delle terre o le monoculture hanno creato forme originali di biodiversità o se invece tutto si banalizza come pare succedere con la  la robinia che sta infestando tutti i terreni interstiziali della pianura padana; questo è il secondo passo per svelare la biodiversità. Infine, si tratta di vedere se le condizioni di fragilità socio-ambientale hanno indotto reazioni innovative sul fronte della biodiversità ossia “sfruttamento” a vario titolo di specie ed ecosistemi inediti. Sappiamo esservi un intenso lavoro di recupero di piante e animali autoctoni. Ma tutto questo è semplicemente il frutto di incentivi pubblici, che una volta finiti, porta anche alla fine della tutela oppure si sono innescati processi nuovi sostenuti da operatori giovani e capaci di garantire entrate economiche dignitose e durature?

Il convegno potrebbe allora contribuire a svelare porzioni di biodiversità inedita, ma valorizzata da esperienze non condizionate dai soli finanziamenti pubblici, che si svolgono in aree fragili. Delle molte o poche esperienze di recupero delle razze autoctone sarebbe interessante verificare la collocazione territoriale, la residenza e la formazione degli operatori, il “successo” dell’iniziativa, se e come coinvolge i residenti locali o persone a vario titolo esterne. Se addirittura propone soluzioni di biodiversità da esportare in aree biologicamente povere, come le città o le zone agricole monocolturali. La biodiversità si presenta come un valore molto astratto, frutto di una cultura scientifica poco condivisa dalla gente comune; a volte in aperto conflitto come nel caso dei grandi carnivori; il convegno dovrebbe contribuire a svelare maggiormente i presupposti culturali della biodiversità e individuare valorizzazioni innovative, non riguardanti però solo il piano economico. E’ quindi rivolto a studiosi, animatori del territorio, amministratori locali che si pongono a cavallo fra scienze naturali e sociali, alla ricerca di reciproche fecondazioni fra conoscenze scientifiche sugli ecosistemi e attività pratiche di valorizzazione dolce della biodiversità.

Risultati attesi:

– panoramica di casi italiani di valorizzazione della biodiversità in territori non toccati da grandi progetti di protezione della natura

– modelli sociali e organizzativi di concreti casi di valorizzazione della biodiversità in aree fragili

– individuazione di misure politiche, finanziarie e di animazione sociale volte a valorizzare la biodiversità in aree fragili

Svolgimento

call for cases seguendo le procedure degli ultimi due convegni: costituzione di un gruppo promotore, entro dicembre invio di un abstract su caso/i di biodiversità in aree fragili; presentazione dei casi selezionati al convegno

Casistica tipo esemplificativa

– agroforestazione, land sharing, agricoltura conservativa

– banche dei semi, arboreti, parchi e riserve su scala locale

– recupero specie animali autoctone/introduzione di specie alloctone

– controllo dolce di specie invasive

– agricoltura verticale, orti urbani, coltivazione piante officinali

– scambi locali ed extralocali di semi con capacità rigenerativa

– associazioni, cooperative, fondazioni, agenzie pubbliche vocate alla tutela della biodiversità

– depurazione, decontaminazione, assorbimento di CO2 grazie a mix di biodiversità (es. fitodepurazione)

– creazione di corridoi ecologici, specchi d’acqua, stagni, paludi

– ………

 

Nota metodologica: il convegno non mira a dipanare le molte questioni legate alla misurabilità della biodiversità; piuttosto, la misurazione viene vista attraverso il filtro delle scienze sociali, innescando quindi anche un elemento di confronto fra discipline. La biodiversità è infatti materia di biologi ed ecologi; ma un contributo può venire integrando le loro conoscenze e acquisizioni con prospettive altre; esse possono essere:

– il tema della percezione della biodiversità da parte di soggetti non esperti (profani); vi sono metodologie per captare le forme sensoriali e mentali con le quali la varietà di specie ed habitat sono utilizzate da residenti e utenti; ad esempio, è molto stimolante cogliere il nesso fra biodiversità e paesaggio, quest’ultimo a sua volta un filtro cognitivo o frame molto raffinato

– il tema del coinvolgimento ovvero dell’apprendimento della biodiversità attraverso processi partecipativi, reti reali e virtuali, confronti, dibattiti e strumenti più espressivi, quali drammatizzazioni, creazioni artistiche, celebrazioni etc. La questione è di come venga creata e condivisa la conoscenza della biodiversità, secondo un motto assai comune in sociologia: la costruzione sociale della realtà

– il tema della valorizzazione della biodiversità ossia di vedere come essa viene tradotta in fattori che sono ritenuti utili all’uomo (approccio funzionale). La diversità biologica può essere studiata a partire da un problema pratico, ad esempio, quale composizione di piante di uno stagno trattiene maggiormente i nitrati che provengono da attività umane. Il secondo passo è vedere se tale assetto ecosistemico può essere organizzato con costi contenuti e senza soverchianti effetti secondari.

Per i tre approcci, che potremmo riassumere in psicologico, socio-antropologico e economico, vi sono immediati addentellati con le aree fragili; la biodiversità di questi territori è sicuramente filtrata da frame culturali, da modelli di socializzazione e da una disparata gamma di progetti di valorizzazione commerciale. Tutte queste prospettive possono essere utili per svelare casi emblematici di biodiversità delle aree fragili. La casistica può essere inquadrata a partire dal seguente schema:

In questo schema dovrebbero trovare posto molte delle iniziative promosse per valorizzare la biodiversità come anche le minacce alla stessa; inoltre, si ritiene strategico tenere distinte le aree che soffrono di abbandono della presenza umana, in particolare la residenza e le attività agro-silvo-pastorali e quelle dove tale presenza è ampia e consolidata. Nelle une come nelle altre vi sono specifiche azioni in favore della biodiversità e pesanti compromissioni. Nelle aree rurali remote si è cercato di rivitalizzare specie sia domestiche che selvatiche in via di estinzione; nelle stesse aree il ritorno alla wilderness si può risolvere in un arretramento della biodiversità con diffusione di specie di scarso pregio naturalistico o commerciale o peggio ancora di specie alloctone invasive. Nelle aree più popolate, siano queste centri urbani, metropoli o conurbazioni, le azioni in positivo riguardano la creazione di corridoi ecologici e di aree verdi artificiali che possano rimediare alla mancanza di zone ecologiche vaste o fornire servizi ecologici puntuali, come ad esempio la fitodepurazione (infrastrutture verdi). Ciò è molto difficile a causa della frammentazione provocata dal modello urbano italiano, il quale interessa anche larga parte della campagna. Inoltre, le pressioni classiche derivanti dalle infrastrutture a forte consumo di suolo non sono per nulla cessate anche nelle aree a maggiore densità urbano-industriale.

Il convegno, pur avendo sempre privilegiato le aree di abbandono, darà spazio anche a casi di fragilità urbana sempre nella doppia accezione di minaccia alla biodiversità e risposta positiva “corale”, essendo la biodiversità un bene comune. Fra spazi di abbandono e spazi di urbanizzazione non bisognerà infine trascurare gli spazi marini, la cui biodiversità è molto più nascosta.

Bibliografia

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Altro materiale

Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare,

PROPOSTA DI LEGGE d’iniziativa dei deputati CENNI, LUCIANO AGOSTINI, BELLANOVA, BENAMATI, BLAZINA, BRATTI, CARRA, CIMBRO, COVA, DALLAI, DI LELLO, D’INCECCO, FERRARI, FIANO, FIORIO, FONTANELLI, FOSSATI, FREGOLENT, GARAVINI, GHIZZONI, KRONBICHLER, LODOLINI, MARCHI, MARIANI, MARIANO, MONGIELLO, OLIVERIO, RAMPI, RIGONI, ROSATO, TENTORI, TERROSI, VERINI, ZAN, ZANIN, Presentata il 19 marzo 2013 http://www.lodolini.it/index.php?option=com_content&view=article&id=349:disposizioni-per-la-tutela-e-la-valorizzazione-della-biodiversita-agraria-e-alimentare&catid=93&Itemid=612

NUOVO TESTO DEL COMITATO RISTRETTO   14 maggio 2014 Coldiretti, Arriva un nuovo progetto di legge sulla tutela della biodiversitàColdiretti chiede il riconoscimento del ruolo del’agricoltura nella valorizzare la biodiversità Leggi    mercoledì 25 giugno 2014

Biodiversità ricchezza di Liguria

X Convegno Nazionale sulla Biodiversità, CNR, Roma, 3-5 settembre 2014 (molti abstract con tematiche affini)

Aree agricole e biodiversità: corridoi agro-ecologici nell’Adda Martesana

Zone umide: depurazione e biodiversità, Parco Pineta (fra Como e Varese)

L’arte di coltivare i tartufi, colline bresciane

Le trezze/tegnue dell’Alto Adriatico

Invisibili cause di visibili effetti: la biodiversità nascosta, R.Bertoni, CNR‐ISE e A. Zingone, Stazione Zoologica Anton Dohrn

Biodiversità: bene sociale e servizio ecosistemico, di Ettore Capri, Opera, Università Cattolica

La diversità genetica la faccia nascosta e dimenticata della biodiversità

Istituzioni e movimenti

Natura ItaliaMinistero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare

Il Gruppo di San Rossore

Centro Ricerche Atlantide, Vercelli

http://seedfreedom.in/

Associazione Natura di Luce, Avigliana, Torino

Master WNHM-World Natural Heritage Management

Rete dei Ricercatori “Agricoltura Urbana e Pianificazione Alimentare”

‘Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services’ (IPBES)

Enti promotori: Dipartimento di Scienze politiche e sociali Università di Trieste, Fondazione Culturale Responsabilità etica (gruppo Banca Popolare Etica)

Comitato scientifico:  Davide Marino-Università del Molise, Andrea Povellato-Istituto Nazionale di Economia Agraria, Davide Pettenella-Università di Padova, Riccardo Santolini-Università di Urbino, Stefano Soriani-Università Ca’ Foscari di Venezia.

Patrocini (tutti da chiedere):

Comitato organizzatore: Ivan Pesaresi (Banca Popolare Etica), Lodovica Mutterle (gruppo dei soci polesani di Banca etica), Giorgio Osti (Università di Trieste), Carlo Zagato (Cooperativa Porto Alegre, Rovigo), Eddi Boschetti, WWF Provincia di Rovigo

 

 

 

Documenti Utili:

BiodiversitàNascostaCallForCases

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