Ambiente, energia, trasformazioni sociali

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Qualsiasi azione è fisicamente inquadrabile come un lavoro e per conseguenza comporta un consumo di energia, sia che possa essere di un uomo, di un animale, di una qualsiasi macchina, di un robot.

Il consumo di energia deve essere inquadrabile nel più ampio valore della sostenibilità. Ad oggi ci pare che non sia da affrontare in tali termini in quanto è tutto sommato basso il costo dell’energia ricavata dalle fonti fossili. Ma ciò è verò? Si ma solo se non si prendono in esame le esternalità ripartite socialmente e dovute ai processi di estrazione trasformazione trasporto e infine consumo che con i loro inquinamenti di aria terra acque terrestri e marine producono tutti quei danni alla vita terrestre, alla salute di tutti gli esseri determinando sempre crescenti patologie e costi sanitari per chi si ammala. In tutto questo il profitto resta solo una partita privata dell’entità multinazionale capitalista che non si configura più con il padrone di un tempo, ma come un’entità astratta autorigenerante e finanziariamente sopra alle parti, non controllabile che da un mercato che è esterno e non fisicamente identificabile nella fluttuazione senza luogo della finanza.

L’uomo che ricorreva al prelievo di risorse per ricavare alimenti e quindi energia per se e per gli animali che usava per i lavori nei campi è morto. Animali da cortile e da compagnia si autoalimentavano raccogliendolo dove lo trovavano (come faceva l’uomo del paleolitico), e, solo successivamente (dalla seconda metà del XX secolo), è iniziata sia per gli uomini che per gli animali una alimentazione con prodotti provenienti dai processi agroalimentari industrializzati, per la cui produzione si è fatto un uso massiccio di macchine a loro volta funzionanti con l’utilizzo di energia ricavata da fonti fossili, quasi esclusivamente ricorrendo a risorse esauribili. Ma anche i prodotti per l’agricoltura come i diserbanti e i pesticidi erano ricavati sempre dai prodotti fossili trasformati. Insomma come i contadini non scartavano nulla del maiale, cosi i petrolieri non scartavano nulla da ciò che prelevavano dal sottosuolo e allargavano il loro mercato e lo influenzavano.

Anche il processo costruttivo dell’abitazione e di altre tipologie non ha avuto differenze. E’ stato progressivamente abbandonato l’uso del legno, della vegetazione, della pietra raccolta e lavorata, della terra, dell’argilla, per far così ricorso a prodotti industrializzati di più facile messa in opera.

I mattoni di terra e argilla già i babilonesi li realizzavano facendoli asciugare all’aria, così come facevano i romani che successivamente passarono alla loro cottura.

Insomma prima della rivoluzione industriale l’uomo aveva a disposizione solo pochi materiali ricavati dalle risorse naturali, aveva imparato a riconoscerli e trasformarli per le sue necessità, ne conosceva le caratteristiche grazie all’impiego e aveva acquisito quelle tecnologie e abilità necessarie per metterli in opera con successo attraverso strumenti che si era costruito. Acqua, sole, vento, fuoco erano usati nei processi produttivi. Le risorse estratte erano legno e vegetazioni varie, pietre, terra e argilla, metalli estratti dai minerali e poi, dalla fusione con la forgiatura e la battitura del fabbro erano ricavati i materiali nelle forme necessarie. La stessa calce prodotta dalla cottura di pietre, fino alla seconda metà del XX secolo comunemente si spengeva in pozze scavate nel terreno, come ho visto fare allo zio Renzo, e le bozze venivano fatte mescolando cemento con pietrisco e acqua e il conglomerato veniva colato in forme autocostruite e riusabili, come ho visto fare allo zio ‘Gosto’, e la sabbia veniva setacciata per ricavare quella idonea per fare gli intonaci, come ho visto fare talvolta, sempre da bambino, a mio padre per riparare qualcosa.

A partire dagli anni ’50 però la modernizzazione iniziò a far perdere abilità nel riconoscere e usare i materiali per le loro caratteristiche e impiego che anche solo per tradizione o tramandate risultavano capaci di dare la professionalità ai maestri muratori nonché agli idraulici e falegnami. Allo stesso tempo in campagna cominciarono progressivamente a scomparire arti particolarmente pregiate come quella degli scalpellini, dei fabbri, dei calzolai, dei falegnami, degli impagliatori, intrecciatori di vimini costruttori di ceste, dei sarti, ecc.

Nelle città e poi nelle campagne nacquero sempre più imprese come il meccanico e l’elettrauto e lungo le nuove e asfaltate strade sorgevano le pompe di rifornimento dei carburanti. Sulle zone di confine tra più comuni sorgevano nuove fabbriche inquinanti, raffinerie, discariche. Tutto era programmato capitalisticamente e perciò economicamente per far fare profitto mediante la ricerca della redditività rapida attraverso piani di fabbricazione e piani regolatori che andavano a riempire gli spazi vuoti lasciati a seguito dell’abbandono delle campagne da parte dei contadini, talvolta però anche ricorrendo all’esproprio per pubblica utilità andando a passare con infrastrutture a ridosso o sopra a abitazioni e case di contadini che si vedevano espulsi di fatto dal luogo dove avevano abitato e ricavato reddito ma anche salvaguardato il territorio e costruito il paesaggio, per il fatto che le nuove leggi e la nuova burocrazia dagli infiniti tempi di gestione impediva di fatto di fare magari anche una semplice manutenzione se non ricorrendo a quello che da allora venne definito per legge come abuso. E’ così che si andava ben lontano dal concetto di danno al patrimonio e abuso che prevedeva già il papa Pio II Piccolomini quando emanò la Bolla

“Cum almam nostram Urbem in sua dignitate et splendore conservari cupiamus” il 28 aprile 1462 perché fosse evitato il danno dovuto al prelievo di materiali dagli edifici romani per farne delle ricostruzioni private o della calce dalla cottura delle pietre.

Con la modernizzazione nei cantieri i camion portavano pietre e pietrischi di varie pezzature, la sabbia di fiume da setacciare, e arrivavano gli autocarri con i prodotti pronti da impiegare: blocchi in calcestruzzo, mattoni di laterizio pieni e forati, travi in cemento e in laterizio armate, e calce e cemento erano dati in sacchi dai quali i muratori dopo averli usati ricavavano dei cappelli. Altri ricavavano i cappelli dai pochi quotidiani che qualcuno portava in cantiere e leggeva per tutti.

L’edilizia si trasformò in una produzione quasi standardizzata con progetti quasi identici di abominevoli interpretazioni del gusto del vivere di chi avrebbe abitato quegli edifici. Nei fatti nacquero allora le periferie nelle campagne fatte con villette recintate entro un pezzo di terra (presella). La villette, dalla superficie intorno ai 100 mq per ogni piano avevano il piano terreno di altezza dai 200 ai 220 cm mentre il primo piano era alto dai 300 cm in su. Allo stesso tempo gli edifici nei borghi dei paesi, realizzati a suo tempo con pietre e mattoni, con i solai in travi e travicelli di legno, con i pavimenti in mezzane di laterizio, con gli intonaci di calce bianca o rosa in varie tonalità a seconda della vetustà, apparivano come qualcosa di arretrato. Chi abitava gli edifici dei borghi cominciò a verniciare di bianco o di grigio le scale in pietra, a verniciare di bianco o rosso madie tavoli sedie e altri mobili di legno, se non talvolta a sostituirli con altri mobili con gambe in alluminio rifiniti in laminato di formica a macchie bianche e verde pisello, perché quelle erano alla moda e adatta ai nuovi tempi moderni nei quali ci si poteva muovere con rapidità sulla Vespa o sull’automobile familiare con la Fiat 500. Nelle case entrarono progressivamente gli elettrodomestici come il frigorifero, la televisione, la lavatrice, ecc. che davano ai possessori il senso di indipendenza e libertà, così come i blue jeans e le minigonne divennero dopo poco le carte d’identità per le nuove generazioni che però in parte si allontanavano da quel tipo di società consumista che stava nascendo formando comunità (poi fallite) di condivisione degli spazi e dei beni privati, così come si incamminarono verso una visione di salvaguardia degli ambienti naturali avvicinandosi alle filosofie dei nativi americani e orientali dei pacifiste gandhiane. Il modello cinematografico hollywoodiano celebrava le condizioni di origine di tali malesseri con film come Gioventù bruciata, e in Italia con i film come Un americano a Roma, Il sorpasso, La dolce vita, Rocco e suo fratello, ma anche con Le mani sulla città.

Nacque però generalmente nella mente della popolazione il mito dello sviluppo senza limiti e senza fine e si stava trasformando la società portandosi dietro come conseguenza la perdità del senso di comunità.

Così, mentre comunemente si avvertiva questa voglia di nuovo, e tutti volevano andare incontro a quel rinnovato senso di libertà e autoaffermazione sociale costruendosi una villetta, dalle campagne i contadini avevano cominciato a fuggire verso delle città e delle industrie, anche perché il lontano sapere di stalla sui vestiti non gli permetteva più neppure di trovare una moglie.

Il travaglio è andato avanti e si è ampliato in quanto le generazioni successive sono nate in un contesto di espansione emotiva di benessere, anzi di possesso e ben avere, in cui tutti avevano una qualsiasi cosa con facilità, bastava lavorare per permettersela, e anche poterla cambiare il prima possibile, il tutto senza pensare troppo a quello che il lavoro che gli veniva offerto e che svolgevano era eticamente corretto e sostenibile per loro e per le successive generazioni.

Questa ubriacatura è andata avanti fino ai nostri giorni anche se già nella seconda metà del XIX secolo con Jevons e poi dagli anni ’60 del XX secolo con le encicliche papali e con i richiami di scienziati responsabili sono stati lanciati allarmi sulle condizioni di perdita di biodiversità, dell’inquinamento di acque e terreni, di come questi processi produttivi stanno producendo gravissimi problemi climatici e ambientali che potranno portare l’uomo predatorio, ed ironicamente definito sapiens sapiens, ad essere vittima di se stesso oltre che delle altre creature che abitano la Terra già da prima.

Ritornando sul processo di costruzione degli edifici è infine però da rilevare che benchè si vada verso forme ed impieghi di energie sempre minori per abitare, ovvero verso il contenimento dei consumi, ci si dimentica che è la fase iniziale del processo costruttivo che comporta il consumo di enormi quantità di energia, così come sono impiegati enormi quantità di energia nelle produzioni industriali dei materiali impiegati nel processo di costruzione nonché nel loro trasporto a destinazione.

Le ultime case sostenibili costruite e abitate fino agli anni ’50 del XX secolo in Italia dai contadini abruzzesi del teramano del chietino e del pescarese, erano realizzate in blocchi ottenuti mescolando terra cruda, pula, paglia e sassi; i blocchi erano posti in opera per file sovrapposte con ripartizioni fatte con tavole di legno, ed i tetti in legno avevano le coperture in laterizio. Sempre in laterizio erano eseguiti gli scarichi idraulici. Le case erano realizzate in modo cooperativo dagli agricoltori del fondo con quelli dei fondi vicini, ed una volta abbandonate e non mantenute sono ritornate alla terra come terra e legno senza altri scarti e rifiuti. Ancora oggi a Casalincontrada di Chieti sono presenti molti di questi edifici usati come locali di rimessaggio. La legge n. 378 del 2003 approvata dal parlamento ha lo scopo di tutelare questi esempi di Pinciaie della cultura e del territorio. Esempi simili di costruzioni in terra cruda si trovano nelle regioni africane e del medio oriente.

Oreste Giorgetti

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